martedì 23 luglio 2013

Tetris, la vita, l'universo e tutto quanto.

Tetris (Aleksej Pazitnov con Vadim Gerasimov e Dmitrij Pavlovskij, 1984)


L'esistenza è fatta di caos, trasformazione, distruzione, entropia, sfacelo.
Solo i nostri sforzi disperati riescono a dare senso a un flusso disordinato di eventi persi in un tempo che, pur se percepito, riusciamo a malapena a comprendere.
Tetris è la sintesi di questo pensiero, semplificato, scacchettato, velocizzato e filtrato attraverso gli occhi di un programmatore sovietico, Aleksej Pazitnov: figure geometriche composte da quattro blocchetti quadrati cadono casualmente dall’alto, e il giocatore deve ordinarle cercando di completare delle righe piene ottenute incastrando i vari pezzi. L’illusione dell’ordine.

Lo scopo di tetris è protrarre la partita per un tempo inizialmente inconoscibile, ma inevitabilmente finito. Cosa che si scontra con la teorica possibilità di proseguire infinitamente nell'ordinare ciò che arriva senza ordine alcuno. Da una parte la consapevolezza che sono i nostri sforzi a definire la lunghezza di una partita a Tetris, e dall’altra la certezza che nonostante i suddetti non vedremo mai l’attimo dopo della nostra fine, che in potenza esiste ma che è irrimediabilmente irraggiungibile.

Si parla di 35 milioni di copie per la sola versione Game Boy
Questo dramma rende Tetris il gioco che, più di ogni altro, riassume il senso di solitudine e inadeguatezza cosmica dell'uomo nella sua ricerca di senso e direzione, spingendolo di volta in volta a personificare quel caos cieco e acefalo, incolpandolo delle nostre sventure. E via di insulti o invocazioni ad un nulla che non può certo farsi carico dei nostri desideri: solo noi, secondo Tetris, siamo artefici del nostro destino, breve ma intenso, e per questo degno di essere ordinato.

In molti potranno obiettare, riguardo alla casualità del gioco, che in Tetris, notoriamente, non arriva mai il pezzo che serve. Questa impressione, forse frutto dei naturali meccanismi che scatenano nel cervello umano rapporti di causa/effetto anche dove non ce ne sono, diventa ancor più evidente quando si aspetta un pezzo lungo, tanto che verrebbe da mettere in discussione l'intera casualità del gioco.
Tetris ha influenzato una generazione
Possiamo allora ricondurre questa "casualità non casuale" (oltre che con ovvie necessità di programmazione per rendere il gioco più avvincente), alla crisi del controllo tipica della filmografia di Stanley Kubrick, riassumibile grossolanamente con “Per quanto ci si prepari ad affrontare il peggio, il peggio sarà sempre più preparato di te” (cosa che ricorda un po' la legge di Murphy), e non per questioni di sfiga o malvagità incombente, ma proprio per l’incapacità dell’uomo di predisporre infinite soluzioni a infiniti problemi possibili, soprattutto se opera come singolo: curiosamente Tetris, pur nato in terra di socialismo e masse proletarie unite, compatte e invincibili (almeno in teoria), è un gioco più che mai individuale, che addirittura non spingerà all’unione tra individui ma al conflitto nella sua versione a due giocatori, in cui emerge una visione del mondo mors tua vita mea forse figlia della guerra fredda.

Tetris dunque spinge non tanto a sperare in un flusso propizio, ma a comprendere il semplice ma vorticoso mondo di gioco e a placarlo il più a lungo possibile, non con serenità zen ma con razionale freddezza e empirici fallimenti.
Il gioco di incastri sgangherati che viene prodotto giocando richiama inevitabilmente alle nostre vite, che a volte hanno la fortuna di combaciare con quelle di chi ci circonda e troppe altre restano avvilite da vuoti che solo con estrema pazienza possono essere colmati, sempre che sia possibile.
Ma è chiaro l’auspicio di Tetris: non conta la lunghezza della partita, non contano gli incastri, non i pezzi che cadranno; l'importante è il tempo piacevolmente speso dal giocatore: è questo che rende il gioco un capolavoro senza tempo, onnipresente, amato da tutti, iconico come pochi altri. In pratica, immortale.

Forse anche due generazioni
L'iconicità di Tetris è emblematica perché non richiama a nessun personaggio: non ci sono un Super Mario o un Pac-Man che possano essere estrapolati dal contesto originario. Conosci Tetris solo se hai giocato a Tetris.
Siamo apparentemente di fronte alla purezza del gameplay (o se vogliamo, dello Spielmechanik). Tetris in effetti costringe a giocare senza troppi orpelli narrativi, ma riesce a mantenere un suo atavico senso di conflitto inevitabile e, come abbiamo detto, fondamentalmente entropico, che invece di narrativo hanno molto. In ogni partita l'eroe/giocatore viene posto di fronte al più classico schema narrativo di Proppiana memoria: si parte da un equilibrio iniziale (il vuoto), c'è la rottura di questo equilibrio (la caduta dei mattoncini), e in seguito le peripezie dell'eroe (l'azione di gioco), che tendono a ristabilire l'ordine (pur senza giungere a un lieto fine). Lo schema narrativo di Vladimir Propp, valido per tutte le fiabe e i racconti, venne tra l'altro sviluppato analizzando i classici della narrativa popolare russa, in cui Tetris sembra volersi infilare con prepotenza pur non disponendo di eroi o principesse, ma regalando comunque a chi lo gioca il senso di azione epica e di gioiosa meraviglia tipico di ogni fiaba, pur scavando tra le incertezze umane più recondite.
Ma come la vita, Tetris va troppo in fretta per potersi permettere di rimuginare sull'oscuro abisso che attende dopo il Game Over. Tetris accetta la fine con serenità.
Siamo noi che ci incazziamo quando perdiamo. Ma questo è un altro paio di maniche.
Aleksej Pazitnov. Lui ha inventato Tetris. Tu che cosa hai fatto?

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