mercoledì 29 maggio 2013

Journey, i videogiochi e la fissa per l'arte.

Journey (Thatgamecompany 2012)


Nel mondo dei videogame uno dei dibattiti più accesi degli ultimi anni è quello sul videogioco come forma d'arte. Tra i media emergenti si tratta di un appuntamento quasi obbligato: viene fin troppo spesso ricordato che il cinema, inizialmente intrattenimento per degenerati, impiegò un po' prima di essere considerato da tutti la settima arte.
Mi permetto di immaginare che, dai tempi di Pong ai primi anni novanta, nessun game designer si sia mai sognato di pensare al proprio lavoro come un attività artistica. Ok, magari qualcuno zitto zitto lo pensava pure, ma si guardava bene dal dirlo.

Adesso i game designer la consapevolezza ce l'hanno eccome.

Complice il trionfo del nerdismo di cui abbiamo già parlato, sicuramente molti nell'industria dei videogiochi si credono dei moderni Michelangelo.
Il problema è che non necessariamente un mezzo con potenzialità artistiche diventa arte. Transformers potrà piacere o meno, ma credere che sia un'opera che verrà ricordata dai cinefili per i secoli a venire mi sembra quantomeno ingenuo.

So' artista perché mi stendo sull'erba.
Per essere arte ci deve essere in primo luogo la consapevole volontà di creare arte. Nei classici arcade anni ottanta non c'era minimamente questa volontà. Se la natura naïf di un'opera può essere sorvolata nel periodo in cui il nuovo media è nascente (le pitture rupestri sono considerate arte da noi, ma dubito che lo fossero per i cavernicoli, interessati più alle cronache delle loro scorribande venatorie), non possiamo credere che un prodotto che esprime sensibilità ed emozione sia il risultato di casualità nei media più affermati o in via di affermazione, come appunto il videogioco.
I designer di oggi, specie quelli indipendenti, tentano di tracciare nuovi percorsi, con la profonda ambizione di creare un prodotto artistico.

Un gioco intero tutto così. Il gioco è questo.
Giuro. Bello, eh. Ma due balle.
Si pensi a Jenova Chen, uno dei designer più lanciati nella creazione di prodotti "diversi". Il successo dei giochi della Thatgamecompany, Flow, Flower e Journey, più il precedente Cloud, ha fatto gridare al miracolo numerosi critici, che hanno più o meno apertamente riconosciuto il valore artistico di questi giochi.
Sono il primo a riconoscere che questi lavori hanno un appeal decisamente particolare, delle atmosfere emozionanti e un fascino che potremmo anche definire artistico, ma poi questi giochi sono bei giochi?

Di Flower ho già scritto, ma il riassunto è che è noioso. Quanto a Flow, beh, non ho avuto il coraggio di spenderci dei soldi, mi sono guardato qualche video e visto l'andazzo mi è sembrato noioso pure quello.

Poi ci sono ricascato, ammaliato da commenti entusiatici e recensioni lusinghiere, e mi sono comprato pure Journey. Che, guarda un po', ha un problema: è noioso. Terribilmente noioso. Insomma, qualche colpo di genio c'è. I paesaggi evocativi, che rimandano ad altre considerazioni. Le musiche. E l'incontro con gli altri viaggiatori, che in Journey sono altri giocatori con cui è impossibile comunicare, cosa che rende benissimo la solitudine della condizione umana. Il risultato, che pure è superiore a Flower, è che rimaniamo con una noia mortale. In un videogioco. Che appunto è prima di tutto un gioco, un passatempo, un divertimento (che poi il divertimento possa oggigiorno significare anche passione, tristezza, paura, riflessione, questo è un altro paio di maniche).


Mai venduto niente sul PSN.
Perché non prevede transazioni
superiori a 100.000 dollari.
Di fronte a prodotti come Journey, dobbiamo giudicare prima il loro essere videogioco, dichiarandone il fallimento ludico, o dobbiamo analizzarlo sul piano estetico, concedendogli una validità artistica? Ammesso che sia lecito procedere in questo modo, andiamo a finire in un terreno quantomeno sdrucciolevole: Empire di Warhol difficilmente sarebbe diventato un successo al botteghino, ma ha indubbie qualità artistiche, se non altro perchè è un film di Andy Warhol e per la sua totale e voluta inguardabilità (otto ore di film muto con camera fissa su un grattacielo), che mettono in dubbio la stessa validità del mezzo creando un cortocircuito nella mente dello spettatore (che però si accontenta anche di vedere 3 minuti di film per afferrare il concetto).
Invece Journey è pensato per essere distribuito sul Playstation Network, e qui, probabilmente, casca l'asino.
Journey viene venduto come gioco e come tale va giudicato, indipendentemente dalle suggestioni che regala. E come videogioco semplicemente non funziona. Non c'è avventura, non c'è puzzle, non ci sono rompicapi. C'è solo un deserto, un omino, e tante domande, se sei uno che si fa domande. Supponiamo che Journey voglia essere una metafora della vita, del nostro incerto cammino su questo mondo, dell'angoscia della morte, dell'illusione dell'aldilà, del mistero della finalità dell'esistenza, della nostra insormontabile solitudine, dell'incomunicabilità tra gli individui... Queste caratteristiche emergono dal gioco? O bastava guardarsi un filmato su youtube? Non sarebbe stato uguale fare un bel cortometraggio digitale? No, dirà qualcuno. Controllare il viaggiatore ci permette di percepire in maniera incredibilmente personale le sue angoscie, che diventano le nostre. Verissimo. Ma ammesso che il risultato sia incredibilmente artistico, non è incredibilmente videogiocoso.
Empire sarebbe un pessimo film, ma sfrutta i mezzi della cinematografia, stravolgendoli, e diventa un'interessante opera d'arte, che certo non può essere paragonata al Settimo Sigillo, perchè sarebbe come confronatare la Divina Commedia con il Partenone. Il solito discorso delle mele con le pere, insomma.

Qui lo vendono. Non al gift
shop della Tate Modern.
Empire sceglie di essere arte, pura e spassionata, mentre Journey finge di tenere il piede in due staffe, pur sapendo di essere semplicemente dalla parte del videogioco commerciale. Potrei anche sviluppare un gioco dall'alto livello concettuale, incredibilmente sfrontato, che denuncia i canoni di un intero sistema, lo faccio a sfondo nero, con un lungo corridoio nero in cui posso muovermi, vestito di nero, solo in avanti, senza inizio, senza fine, con sottofondo di urla continue e disturbanti: uno shock minimalista dal profondo significato implicito (diciamo). Ora, se lo espongo al MoMA può stare, se lo metto in rete gratis può stare, e in questi due casi, giudicatemi come artista. Anche nel caso vendessi l'unica copia per un milione di euro. Se però lo vendo a 15 euro, 20 euro, 30 euro sul PSN no. Voi direte che ho fatto un gioco di merda. È inutile che ci giriamo intorno.

Concept Art del mio Concept Game
Mi si accuserà di scarsa comprensione del fenomeno artistico: tornando al cinema, possiamo affermare che in fondo tutti i film sono di fatto dei prodotti commerciali. Poi ci sono quelli dal profondo contenuto artistico e quelli meno dotati.
Ma se analizzaimo il media in sè, alla fine dei giochi emergerà che il fattore "artisticità" (qualsiasi cosa voglia dire) è puramente accessorio: alla fine il film o è bello o è brutto, funziona o meno, e va giudicato nella sua interezza, non nei suoi intenti. Potremo sempre dire che lo spunto era originale, che la regia era attenta o virtuosa o innovativa, che la fotografia era stupenda, ma se il film è cacca, cacca rimane.

È di un originalissimo color viola,
ma è sempre cacca.
E perchè non deve essere così nei videogiochi? Perchè gli intenti sboroni di Jenova Chen devono sovrastare la qualità dei suoi giochi? Journey emoziona? Francamente ho avuto molte più emozioni giocando a Metal Gear Solid 4. Quando sono arrivato a Shadow Moses ormai piangevo. Quello è un capolavoro. Un monumento. E Shadow of the Colossus? Ma scherziamo? Se Journey è un gioco artistico allora Shadow of the Colossus cos'è? Andiamo: Journey è solo un esperimento, un passaggio, un giochino che si è montato la testa con delle musiche a effetto. È il pippone finalizzato ad essere pippone, perché nella testa di chi lo crea l'arte deve essere pippone. E io non ci sto. Shadow of the Colossus era lento, maestoso, forse difficile se paragonato a uno sparatutto, ma tremendamente bello e coinvolgente. Si è pensato a fare un ottimo gioco, ed è uscito un capolavoro. Con Journey, Chen procede a ritroso: vuole fare il capolavoro e crea il pippone.
Brividi schienali.
Ma perchè nessuno lo dice? Perchè i videogiochi, e soprattutto gli appassionati, sono in fase di sdoganamento. Dimostrare a un profano che Metal Gear Solid è un gran gioco prevederebbe un'esperienza completa lunga ore e ore, senza dimenticare che nel gioco si spara e si muore, quindi tutti a dire che i giochi son violenti: un casino. Ma se li facciamo giocare a Journey, con le sue atmosfere eteree, o a Flower, con i suoi innocui petali fascisti, beh, basta uno sguardo: è arte. Il fricchettone ci casca subito. Il cronista svogliato della grande rivista pure. L'associazione per i diritti degli animali maltrattati nel mondo digitale anche. E si crea il fenomeno, che fa bene a tutta l'industria.

Insomma, la voglia matta degli addetti ai lavori di uscire dal ghetto dei prodotti insulsi e infantili finisce per premiare lavori quali Journey che, pur se interessanti (infatti sono ben felice che li facciano: sono solo infelice di averci speso dei soldi), vengono definiti capolavori solo per la loro sbandierata diversità e non per un'effettiva e solida qualità. Poi è chiaro, i programmatori per anni non hanno visto una groupie e adesso che possono ammantarsi dell'ombroso fascino del creativo non vogliono perdere l'occasione di rimorchiare qualche sbandata con la fissa per gli artistoidi. Comprensibilissimo, l'abbiamo fatto tutti.
Ma a noi non ci freghi, Chen. Fai un platform, fai. Poi vediamo.

2 commenti:

  1. Applausi.

    Hai dimenticato di dire una cosa: il gioco dura max un paio d'ore, forse tre.
    Tanto sarebbe bastato a seppellire con una risata questo titolo.

    RispondiElimina
  2. Beh, bisogna ammettere che se avessero architettato un gioco più longevo l'esperienza sarebbe stata anche peggiore...

    RispondiElimina

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