venerdì 28 settembre 2012

Skyrim e i giovani dal futuro incerto

The Elder Scrolls V: Skyrim (Bethesda 2011)


Skyrim, quinto capitolo della saga di The Elder Scrolls, è un capolavoro. Il respiro epico, gli spazi illimitati, la durata pressochè infinita e il mondo vasto e pieno di opportunità.
Pieno di opportunità? Siamo sicuri?
È possibile che questa gargantuesca avventura fantasy voglia raccontarci una storia un po' più scomoda? Analizziamo i fatti.

Il plot di Skyrim è tra i più semplici: un giovane misterioso, scampato miracolosamente da un'esecuzione sommaria, scopre di essere dotato di straordianari poteri e di essere l'unico in grado di sconfiggere i draghi che sono tornati a minacciare il mondo, come prevedeva un'antica profezia. Dopo qualche avventura e un'adeguato addestramento, ci riuscirà. Fine? Titoli di coda? No. Neanche per sogno. Il nostro eroe si troverà perso per un mondo vasto e inospitale, senza una vera meta, incapace di raggiungere obiettivi altrettanto grandiosi. La struttura a mondo aperto in Skyrim non prevede infatti una "fine" del gioco: avendo una regione vastissima da esplorare, gli sviluppatori hanno ben pensato di lasciare libera iniziativa ai giocatori anche dopo la fine della trama principale. Ma cosa comporta questo? Un totale spaesamento. 
Il parallelo con i giovani universitari che si trovano catapultati nel mondo del lavoro è lampante.
Istruzione, istruzione, istruzione.
Il protagonista del gioco parte da una condizione di fortuna: viene salvato da una ingiusta (?) esecuzione sommaria. Questa fortuna non rappresenta forse la chance di chi riesce a crescere in un ambiente che consentirà di accedere ad un'istruzione superiore? Certo, la possibilità di studio sono a volte immeritate, a volte sudate, ma sempre di un privilegio, e quindi di una fortuna, si tratta. Il giovane protagonista si imbatte quindi in una serie di "missioni" che altro non sono che formative, fino a quando non avrà la possibilità di accedere al tempio Hrotghar e di studiare "la Via della Voce", seguito da potenti monaci eremiti. Qui il parallelo è sfacciato: abbiamo professori, prove da superare, e il monastero/università si trova sul picco di una montagna, a simboleggiare l'inaccessibilità del sapere. 
Viene spiegato al giovane eroe che i draghi minacciano il mondo e solo lui può fermarli, ovviamente dopo l'apprendimento indispensabile per gestire il suo innato talento. Il giovane eroe è chiamato a liberare il mondo dalla gerontocrazia che tanto va di moda oggidì, rappresentata dai draghi, antichi, potenti e famelici, ma soprattutto determinati a rimanere per sempre.
Un neolaureato sfida la gerontocrazia
 Innegabile quindi lo stupore quando si scopre che colui che dovrà fornire gli ultimi insegnamenti per sconfiggere i draghi al giovane apprendista è... un drago egli stesso! Insomma il conflitto tra giovani e anziani è visto come inevitabile:  i draghi e la loro voracità sono il problema, ma in alcuni di loro risiede la saggezza necessaria per eliminarli.
Comunque l'eroe/studente è pronto per il conflitto finale, e con prontezza, coraggio e preparazione elimina i darghi e il loro principe. Insomma, discute la tesi e si laurea. Un breve brivido di orgoglio, una pacca sulla spalla... Sembra andare tutto per il meglio: i draghi sono sconfitti, ma poi il vuoto. Si inizia a vagare in cerca di meta, ci si imbatte nella gilda dei ladri, nell'associazione dei guerrieri, nel conservatorio dei bardi, nell'accademia dei maghi...
Insomma specializzazioni, master, stage e tanti, troppi, contratti a tempo determinato... Tutti sembrano promettere grandi cose (ci si aspetterebbe un bel futuro una volta diventati arcimaghi, ma invece è come avere un dottorato senza una cattedra o un posto da ricercatore). Tutti fingono di portarti all'apice della propria associazione. Ma poi... si rimane senza missioni, in un mondo che ha perso il simbolo dei poteri antichi ma che ancora è governato dagli stessi individui (a poco serviranno scelte politiche prese durante il gioco: ci sarà una guerra, qualcosa cambierà, ma noi, a parte le solite pacche sulla spalla, torneremo girovaghi). E si rimane con la sensazione stridente di poter e voler fare qualcosa di più. Mentre invece al nostro eroe, a cui sembrava di aver conquistato il mondo, non resta che aggirarsi per Skyrim nella speranza di trovare qualcosa di decente da fare, ma che sarà inevitabilmente la caccia al tricheco, la disinfestazione di caverne, la ricerca dell'oggetto scomparso e la commissione per qualche demone.
Chi gioisce nell'accumulare ori e gioielli e armature e armi e magie e manufatti antichissimi e punti esperienza e abilità avrà il suo bel lavoro da fare, ma chi sperava di raggiungere una meta, un obiettivo, una stabilità, rimarrà con un pugno di mosche.
Skyrim centra in pieno l'andazzo del mondo moderno: non ci sono titoli di coda che lasciano intendere un vissero felici e contenti,  ma c'è solo un continuo rimbalzare,che deve essere esso stesso stimolo e obiettivo, pena la divorante sensazione di vuoto che affligge molti giovani (e meno giovani) d'oggi.

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